C’era una volta la gastromania, ovvero quella smania nei confronti del cibo e del vino, della cucina e della tavola che per anni ha allietato, più che i nostri stomaci, i nostri sensi appagati dai media vecchi e nuovi: dal cinema alla televisione, dai giornali alla radio, dai blog ai social, è stato tutto un proliferare di ricette perfette e memorie d’assaggio, ricordi del bel tempo andato e dubbie sperimentazioni, narrazioni mitologiche e chiacchiere e pettegolezzi e zuffe e scandali e chi più ne ha più ne metta.
Oggi il cibo non interessa più nessuno. O meglio, non interessa più i media. Dunque possiamo parlarne con calma, e se del caso, con la dovuta saggezza critica.
Spenti i riflettori sui palcoscenici della cucina e del tavola, esaurita la sbornia mediatica nei confronti dei cuochi star o delle supposte virtù taumaturgiche di un’alimentazione sedicente corretta, ridimensionate le retoriche dei naturalismi più o meno mistici o delle dietetiche tanto prodigiose quanto contraddittorie, è arrivato il momento di ritrovare la verità del cibo.
Che significherebbe ritornare a quel che c’è realmente in tavola: esito di una sapiente trasformazione di materie prime e loro mescolanza creativa, ma anche frammenti significativi di storia, società, cultura, politica, identità etniche.
Laddove la gastromania sembrava interessarsi a ciò che sta prima del piatto (storie di vita dei produttori, mitologie degli chef…) o dopo di esso (rituali di degustazione, discorsi critici…), è giunto il momento di concentrarsi sul piatto stesso, sulle molteplici verità dell’esperienza gastronomica.
Quel che è certo è che il silenzio mediatico intorno al cibo, logica conseguenza della moda degli scorsi anni (col picco in quell’Expo milanese di cui oggi resta al più un vago ricordo), ci proietta in un’età in cui il post ha una sicura ragion d’essere.
Da una parte, le mode si esauriscono per stillicidio andando verso il basso, di modo che nelle periferie dell’impero qualcuno continuerà comunque a bearsene: da cui il replicarsi degli stereotipi gastromaniaci nei bar low cost di provincia, cui fa eco il montare delle parodie – nei media mainstream come in rete – nei loro confronti.
D’altra parte, venuta meno l’ansia da prestazione che caratterizza, per principio costitutivo, la logica dei trend, possiamo cominciare a rilassarci, e a occuparci della questione, cioè del cibo e della gastronomia in tutte le loro forme, ivi comprese – arretrando lo sguardo – quelle delle mode e delle contromode.
Buona fortuna Dragotto Farm! Sei dalla parte giusta.
Gianfranco Marrone
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